Nell'incontro, nella prima fascinazione, quando promettiamo all'altro di diventare per lui incantamento e specchio, disvelando e ingannando nel medesimo tempo, le ho usate tutte le parole.
Le ho usate per sedurre, per affabulare. E anche in quell'età della relazione che è, necessariamente, tellurica. Quando scosse si susseguono a scosse, parti di sé che si volevano unite a quelle dell'altro si separano per sempre, mentre altre si ritrovano, inaspettatamente, confinanti.
Da quel moto destabilizzante, durante il quale la perdita (di pezzi di sé, dell'idea sognata dell'altro?) precede nuovi e inediti equilibri, a volte capita che un uomo e una donna riemergano più temprati e più forti. Dell'esperienza del proprio limite e di quello dell'altro, del punto in cui i
confini si toccano, ma anche delle distanze che rimarranno per sempre irraggiungibili.
Quando tutto questo è diventato passato, allora, ho sentito di essere finalmente in salvo.
Quando l'altro è diventato la mia casa e la mia patria, allora le parole, una alla volta, mi hanno lasciata. Sono stanche le mie parole, deluse, avvilite dal tempo o dall'uso?
Ci sono giorni in cui le penso come piccole cavie impazzite in una scatola di vetro, che prendendo l'abbrivio per lanciarsi verso l'alto non trovano l'uscita ma un invalicabile tetto di latta.
E sono i giorni in cui penso che le mie parole vorrebbero, potrebbero, dire ancora la passione ed il desiderio, ma non trovando il modo, né l'aiuto necessario, allora ricadono giù, inutili, mortificate.
Altri giorni, invece, sento, credo che non si siano perse, ma trasformate in qualcosa d'altro, in gesti, affinità, impegni. In un amore taciturno ma non per questo sopito che non ha più bisogno di essere spiegato o definito, raccontato o cantato, in un amore diventato, almeno per me, una Mecca rivolta alla quale l'anima può sempre pregare.
Da quel moto destabilizzante, durante il quale la perdita (di pezzi di sé, dell'idea sognata dell'altro?) precede nuovi e inediti equilibri, a volte capita che un uomo e una donna riemergano più temprati e più forti. Dell'esperienza del proprio limite e di quello dell'altro, del punto in cui i
confini si toccano, ma anche delle distanze che rimarranno per sempre irraggiungibili.
Quando tutto questo è diventato passato, allora, ho sentito di essere finalmente in salvo.
Quando l'altro è diventato la mia casa e la mia patria, allora le parole, una alla volta, mi hanno lasciata. Sono stanche le mie parole, deluse, avvilite dal tempo o dall'uso?
Ci sono giorni in cui le penso come piccole cavie impazzite in una scatola di vetro, che prendendo l'abbrivio per lanciarsi verso l'alto non trovano l'uscita ma un invalicabile tetto di latta.
E sono i giorni in cui penso che le mie parole vorrebbero, potrebbero, dire ancora la passione ed il desiderio, ma non trovando il modo, né l'aiuto necessario, allora ricadono giù, inutili, mortificate.
Altri giorni, invece, sento, credo che non si siano perse, ma trasformate in qualcosa d'altro, in gesti, affinità, impegni. In un amore taciturno ma non per questo sopito che non ha più bisogno di essere spiegato o definito, raccontato o cantato, in un amore diventato, almeno per me, una Mecca rivolta alla quale l'anima può sempre pregare.
Sono così antica?
Così uguale alle mie lontane antenate da essere approdata alla consapevole saggezza che una sola parola, facendo giustizia di tutte le altre, possa indicare i rapporti sessuali e quelli familiari?
Loro al silenzio pensavano come al luogo che ne definiva il posto ed il ruolo nella scena familiare. Ma anche come ad un riparo dietro al quale esercitare un potere che da sempre sapevano imprenscindibile quanto irriconosciuto.
Loro al silenzio pensavano come al luogo che ne definiva il posto ed il ruolo nella scena familiare. Ma anche come ad un riparo dietro al quale esercitare un potere che da sempre sapevano imprenscindibile quanto irriconosciuto.
Io, invece, delle parole ho bisogno.
E se le ho fatte sgombrare dalla scena dell'amore per condividere con l'altro quel minuscolo pezzetto di terra comune che ci è toccato in sorte, non per questo ho rinunciato a loro.
Sono il mio lavoro, il mio pane, la mia speranza. Le limo e le arrotondo, le sottraggo, le scarnifico, le domo.
Sono il mio lavoro, il mio pane, la mia speranza. Le limo e le arrotondo, le sottraggo, le scarnifico, le domo.
Addomesticate le parole è l'unica cosa che so fare.
Ma quando, sopraffacendomi, trovano poi un loro ordine e una loro misura, conosco momenti di felicità assoluta. Perché so che le parole possono uccidere.
Ma sono anche l'unica cosa che abbiamo a disposizione per vivere.